Con il termine omosessualità si indica l’attrazione emotiva e
sessuale di una persona, sia maschio che femmina, verso persone del
suo stesso sesso; quella femminile viene definita lesbismo o
saffismo con riferimento agli amori omosessuali attribuiti alla
poetessa Saffo dell'Isola di Lesbo.
L'omosessualità
non ha nulla a che vedere con le patologie di tipo ormonale, né va
confusa con l’ermafroditismo, ovvero la coesistenza dei due sessi
nella stessa persona, o con lo pseudo-ermafroditismo, cioè la
malformazione dei soli organi genitali esterni, che presentano
alcuni caratteri dei due sessi.
Dall'omosessualità
si differenzia anche il
transessualismo, atteggiamento psichico di
non accettazione e addirittura di odio verso i caratteri sessuali
del proprio corpo.
Si
può poi distinguere l’omosessualità egosintonica, dove il
soggetto riconosce psico-fisicamente la propria omosessualità e non
vive conflitti derivanti dalla sua condizione, dall’omosessualità
egodistonica, dove il soggetto è incapace di accettare o
riconoscere il proprio orientamento e desidererebbe fortemente
essere uguale alla maggioranza.
L'orientamento
eterosessuale, che, come quello omosessuale, si definisce nel corso
dell’adolescenza, corrisponde all’attrazione per persone di
sesso diverso dal proprio; le persone che hanno un orientamento
omosessuale, invece, si sentono attratte emotivamente, fisicamente e
sessualmente da individui dello stesso sesso.
L'omosessualità è,
infatti, una variante del comportamento umano che si connota con il
desiderio di amare, desiderare e autoidentificarsi con persone del
proprio sesso, e non quindi esclusivamente e semplicisticamente con
atti sessuali.
È
dunque molto importante dire che essa è una condizione esistenziale
con contenuti psicologici
di affettività, progettualità, relazione, e così via.
Storicamente
l’omosessualità è stata considerata per molto tempo come una
malattia o una perversione, tanto che la psichiatria è riuscita a
liberarsi da questo pregiudizio solo a partire dalla metà degli
anni '70.
Via via, infatti, i codici diagnostici psichiatrici
hanno preso ad occuparsene solo nella sua variante cosiddetta egodistonica. Veniva cioè considerata meritevole di attenzione
clinica e terapeutica quella condizione nella quale l'omosessualità
non era in sintonia con il vissuto profondo di un determinato
soggetto, creandogli uno stato di disagio e di tensione psichica: ciò
fino all’inizio degli anni '90.
Nell'ultima
edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM
IV-TR, 2000) l’omosessualità non occupa più alcuna casella
diagnostica. Questa posizione è stata fatta propria anche
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1993, e così
sul piano scientifico è stata posta fine alla criminalizzazione,
colpevolizzazione e medicalizzazione di questo comportamento umano.
Malgrado
ciò, tutt'oggi permane, in una parte della società, un
atteggiamento discriminatorio di rifiuto, condanna e patologizzazione dell'omosessualità.
Questo
atteggiamento pregiudiziale e radicato nella coscienza di figure
importanti di riferimento quali genitori, insegnanti, medici e così
via determina sensi di colpa ed induce bassa autostima nelle persone
che si scoprono omosessuali, le quali si allontanano dal proprio
sentire per paura di essere rifiutate e si condannano così a vivere
relazioni senza libertà purché in sintonia con le richieste di
società e cultura, subendo così
ripercussioni psicologiche
talvolta rilevanti.
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